“Disco Moon”, testo critico di| Claudia Amato, Alberto Zanchetta, 2009, ita

All’interno della rassegna EPIDE®MIE nasce il progetto Effimero, evento dedicato al 40° anniversario dello sbarco sulla luna, in cui diciotto artisti sono stati invitati a rielaborare la scultura modulare Aconà Biconbì di Bruno Munari nell’intento di [ri]trasformarla in un oggetto “unico” ed “effimero”. Dalla rivisitazione della famosa micro-scultura è nata l’opera Disco Moon di Andrea Morucchio: diciannove elementi circolari – realizzati con cartone, legno e stampe fotografiche – che riproducono altrettante lune, forme archetipiche e primordiali che l’artista ha incastonato in dischi argentati spargendole poi a terra per conferire loro un andamento a raggiera, come fossero sfere orbitanti che imitano il moto dei corpi celesti. 

Nei nimbi luminosi è inoltre possibile veder riflesso sia il cielo che la facciata istoriata dell’attiguo Tempio di San Lorenzo, effetto ottico che chiama in causa l’astrologia e la religione; come spiega l’artista, il titolo dell’installazione intende creare «cortocircuiti iconografici tra le simbologie cattoliche e quelle pagane, con il conseguente ritorno alle origini del sentire religioso, ma anche con l’osservazione dello spazio, degli astri e delle loro influenze». 

Inevitabilmente, il pensiero dello spettatore vola verso i grandi filosofi del passato, alle asserzioni di Platone (che nella figura del cerchio vedeva la forma perfetta, assunta a medioevale simbolo dell’Assoluto) così come ai rituali neopagani dei cerchi magici che miravano a creare uno spazio immaginario capace di dividere, almeno idealmente, il mondo materiale da quello soprannaturale. Forma senza inizio né fine, ciclo della vita che si ripete all’infinito e che torna nella famosa quadratura del cerchio, simbolo del desiderio dualistico di riportare la sfera celeste in concordanza con quella terrestre...

Ma se nell’astrologia e nelle scienze occulte l’essere umano viene incoscientemente inserito nel proprio destino, nell’opera di Morucchio è l’uomo stesso (in quanto elemento di passaggio) a controllare lo sviluppo del caso. L’attenzione dello spettatore si sposta quindi dalle ipnotiche lune variopinte verso l’ambiente circostante, che diventa parte integrante e speculare dell’installazione. 

Lo sguardo cattura i cerchi lunari mentre il cervello li registra e li ribalta lungo la perpendicolare del rosone, in un gioco di finito/infinito che [s]materializza la ciclicità del processo naturale e il ripetersi di fenomeni che sottendono alle leggi dell’universo. L’accento cade infine sull’assenza di rotture e sull’indissolubilità spazio-temporale, ossia su una circolarità intrisa di simboli atavici e retaggi culturali, quasi fosse un témenos che induce il passante in soggezione e ne inibisce l’attraversamento.