“Nella Perla delle Antille: nella Deriva dell’Iride”, testo critico di| Alberto Zanchetta, 2008, ita

... deriva che si pone ai vertici dell’occhio ciclopico, quello dell’immagine fotografica, onnivoro processo mito/tecno-logico. La nostra cultura è ossessionata dalla conoscenza, che si fa registrazione, e dalla divulgazione, che diventa riproduzione del reale. Per A.M. la fotografia è molto di più di un semplice mezzo di comunicazione, è pratica esperenziale. Tale “comunicazione” è intesa a stabilire una trasmissione-relazione nei confronti del mondo, vuole cioè individuare un rapporto diretto tra il fotografo e il suo medium, e tra questi con le persone, le cose, il paesaggio, fino a identificare l’uno negli altri, in perfetta osmosi. Per quanto McLuhan ravvisasse nel medium un’estensione delle nostre facoltà percettive, il sociologo canadese recriminava a tutti noi l’incapacità di riuscire a riconoscerci in esso, non essendo in grado di accettare il fatto di poter appartenere noi a lui e lui a noi. A.M. dimostra invece di averlo compreso senza la benché minima reticenza.

A.M. non accetta di soggiacere alla passività dell’istantanea in cui basta premere l’otturatore, esige anzi la consapevole partecipazione da parte di tutti i fattori che concorrono a definire l’evento. È questo suo “sguardo partecipe” a non consentirgli di documentare in modo distaccato; la disposizione d’animo dell’artista non accetta infatti nessun tipo di disimpegno. Rifuggendo dalle lusinghe estetiche A.M. evita così di scadere negli stereotipi. Della perla delle Antille l’artista coglie con infaticabile disponibilità la pura e semplice gioia dei ragazzi, la routine del lavoro, la serenità delle persone, la calma del vivere quotidiano. 

In questo reportage cubano egli rincorre un “essere al/nel mondo”, in prima persona, per interpretare dall’interno e non essere costretto a descrivere dal di fuori. A significare la sua ricerca è innanzitutto la concessione d’essere guardati, chiave di volta per entrare in contatto con il soggetto: possibilità di un vis à vis, dialogo – per quanto afono – con quell’occhio rotondo - nella definizione data ai Ciclopi - che guarda con famelica curiosità e divertita complicità. La placida intrusione nella vita altrui si arricchisce allora di un ulteriore fattore, il nomadismo, che va letteralmente incontro al mondo, senza giudicarlo né celebrarlo. Da questo atteggiamento mobile e umile emerge però l’evidente perizia dello scatto; pur confidando nella fortuna e pregiandosi delle contingenze, ogni fotografia racchiude in sé il rigore e la precisione della techne, in cui la scelta e l’inquadratura fanno pur sempre la differenza.

La peculiarità dell’anonimato, così come l’accidentalità dell’incontro tra soggetto-contesto-situazione, riescono nell’intento di immortalare lo spirito di una nazione. In queste foto transitiamo da un quartiere all’altro, da un individuo all’altro, da una a mille situazioni differenti, scoprendo contraddizioni, sogni, speranze, grazie alle quali è infine possibile delineare una cartina psico-geografica. Stimolo retinico che si riconnette all’encefalo per restituire anche allo spettatore - la qualità di - uno sguardo in grado di innescare un processo simpatetico, e da qui culminare nell’empatia.