“Sampling Canova”, testo critico di Marco Baravalle, 2006, ita

Emerging Code si presta ad una duplice interpretazione. La prima, immediata, è quella che tenterebbe di chiarire il rapporto che esso intrattiene con l’opera originale canoviana. Allora si potrebbe sottolineare come lo sviluppo delle sculture del Canova, dal gesso fino al marmo, fosse in realtà un percorso dalla materia - che suscita emozione violenta - al sentimento e, infine, al pensiero: un vero e proprio processo di astrazione, così palese nell’accostamento che A.M. sceglie di proporre tra le foto dei gessi di Possagno e la sua installazione scultorea. 

Si potrebbe accostare bidimensionalità frontale della piramide del monumento di Maria Cristina d’Austria, con la sua porta a suggerirci lo spazio oscuro ed ultraterreno dell’Ade, alla bidimensionalità degli Offshots con i loro squarci che, altrettanto, vanno a suggerirci l’esistenza di uno spazio, seppure per nulla sovraumano. E così via. La seconda interpretazione possibile, forse non immediata, ma altrettanto evidente, è quella che sceglierebbe di mettere in evidenza il carattere di postproduzione di un’opera quale Emerging Code. Il dato fondamentale sarebbe allora non la lettura critica della rielaborazione artistica messa in atto da A.M., bensì il fatto che l’artista abbia scelto come punto di partenza per il proprio lavoro un’opera preesistente. L’artista che non crea più ex-novo diventa, dall’apparizione del ready-made in poi, una delle costanti della contemporaneità, un possibile comune denominatore con il quale guardare all’ultimo secolo di arte. L’artista, sempre più spesso, è apprezzato per le sue doti di sampler, di ricombinatore di prodotti culturali, sia artistici che popolari o mediatici, ecc. 

Questa prospettiva, dunque, non guarda, se non come ad un esercizio accademico, alla ricostruzione storico-artistica e critica di un d’apres, la storia dell’arte rischia di venire interpretata come un indistinta e confusa miscela di forme da cui attingere senza troppa attenzione. Eppure qui nessuno intende affermare che esista una verità unica dell’opera, essa non è mai decisa una volta per tutte né dall’autore, né dal critico, né dal pubblico. Tutte queste componenti, continuamente, riplasmano il significato dell’opera. Ogni opera può essere ripresa, elaborata, distrutta, rimontata, sbeffeggiata e, al limite, tradita. Il problema si pone quando dalla possibilità del tradimento si passa all’ideologia del tradimento, il cui effetto più nefasto è quello dello svuotamento totale del senso e del disinnesco di ogni portato critico dell’opera d’arte. Emerging Codenon può venire liquidato come un détournement, poiché il détournement fu un’invenzione situazionista utilizzata come arma contro l’alienazione della società capitalista, arma che, tra l’altro, A.M. conosce molto bene data la sua produzione parallela caratterizzata dal confronto con temi di interesse sociale e da dinamiche artistiche più marcatamente relazionali - vd. Petrologiche -. 




D’altro canto, E. C. non può essere interamente compreso nel suo rapporto critico con la scultura canoviana, esso è postproduzione e appropriazione, ma è, allo stesso tempo, scultura - ancorché bidimensionale - da leggersi attraverso le tradizionali categorie di materia, forma, volume e colore. E.C. è sampling e rielaborazione, ma si può, in ugual grado, suggerirne i rapporti formali che esso intrattiene con i suoi antecedenti storico-artistici, dal Canova, all’Informale, inteso nella sua declinazione materica, fino a Fontana che, attraverso le sue rasoiate, voleva suggerire uno spazio tridimensionale al di là della tela, così come gli squarci nel ferro di A.M., non vuoti, ma vivi di vetro incandescente che preme per fuoriuscire, sembrano dare spessore e solidità ideale allo spazio di fronte ad essi, rendendo così conscio lo spettatore di quella stessa consistenza spaziale.