“Dai Sarcofaghi Romani a Moira Orfei”, testo di Virginia Baradel, 2002, ita

Ventiquattro città italiane, da Torino a Catania, da Venezia a Bari hanno accettato la sfida di Gemine Muse. I responsabili del GAI o del CIDAC delle varie città hanno chiesto a un critico, legato a quegli stessi luoghi, di individuare gli artisti da coinvolgere nel cimento dell'inedito confronto con un'opera d'arte del passato. Già in questa mossa del critico è contenuto un primo grado di compatibilità tra i due universi coinvolti, essendo la scelta caduta su artisti che avrebbero potuto inventarsi un modo originale di dialogare col passato.

Un'altra mossa che ha fortemente segnato il campo degli interventi è stata la scelta del Museo. Hanno partecipato all'avventura di Gemine Muse musei civici e regionali, archeologici, diocesani, del costume, di storia e civiltà locale, pinacoteche e raccolte d'arte antica, moderna e contemporanea. In relazione alla tipologia del museo, i giovani artisti si sono trovati così di fronte a diversi tipi di oggetti tutti investiti, comunque, della speciale autorità testimoniale ed estetica che l'elezione del passato conferisce alle vestigia pregevoli, prime fra tutte le opere d'arte.

Dunque dall'aura che circonfonde la Pietà Rondanini alla culla intarsiata del Marchese di Montrone, dall'albero genealogico dei Savoia alla Vergine col Bambino di Carlo Crivelli, dal sacrificio del capitano da mar Zaccaria Mocenigo al mito di Napoleone, dai "luoghi" di Enea al guerriero sannita, dalla Fontana del Bacchino al Diluvio di Paolo Uccello, i 48 artisti di Gemine Muse hanno applicato il loro modo di riflettere e di creare a una provocazione che, capovolgendo l'abituale dialettica, proviene stavolta dal passato a scoccare le antenne del presente.

Quello che appare con ogni evidenza è lo slancio creativo con cui gli artisti hanno accolto l'idea di lavorare intorno a un tema, a una relazione particolare, a un oggetto carico di stimoli e suggestioni e, infine, ad un'occasione che ha prodotto una rete novissima di accadimenti in simultanea. E' come se una formazione sparsa di giovani artisti a un segnale convenuto fosse entrata contemporaneamente nei musei delle rispettive città per scovare un'opera in grado, più di ogni altra, di accendere l'emozione creativa dotata di tutti i files del presente, delle modalità riflessive, delle tecniche e dei linguaggi che sono corredo esclusivo dell'arte dei nostri giorni.

Gemine Muse è stato quel segnale convenuto. La maggior parte degli artisti ha realizzato delle installazioni talvolta associate a performance. Tale scelta è riconducibile tanto ad un'oggettiva predominanza di questo genere espressivo nel panorama dell'arte contemporanea, quanto alla singolarità, già di per sé suggestiva, dello spazio museale entro cui intervenire. E' così possibile vedere sarcofaghi romani "in azione", piogge ferme di rose che schermano Maria oppure di gocce d'acqua che soccorrono il diluvio più asciutto della storia dell'arte; assistere ad un clamoroso incendio in gipsoteca o a una grande festa nel salone da ballo di una reggia fiabesca; chiudersi nelle prigioni del Castello o evocare remote Babylonie; contemplare sempiterne Cenerentole o Moire Orfei, icone-feticcio di ieri e di oggi, marmoree e pubblicitarie, sacre e beffarde. Non mancano esempi di fotografia, di video arte, di proiezioni simultanee e di tableaux variamente composti assimilabili a dipinti polimaterici.

La pittura non compare mai da sola ma piuttosto in combinazione con tracce sensibili in cui la materia e i segni appaiono dotati di una singolare vocazione al libero "rifacimento", figurativo o astratto, in ogni caso legato ad un accordo con la memoria, collettiva e personale. Curiosamente non si tratta tanto di "rivisitazioni", operazioni assai diffuse nell'autunno del post-moderno, ma di invenzioni radicali scaturite, per lo più, da uno dei molti livelli della stratificata natura significante che possiede ogni illustre manufatto. Affiorano, in modo sottile ma esplicito, riflessioni sulla drammaticità del presente, sulla difficile convivenza dei popoli e sul tema della guerra.

Naturalmente molteplici e pregevoli sono i corti circuiti che tali felici ibridazioni hanno prodotto e dunque la convivenza delle due opere, il loro motivato eppur stridente gemellaggio, appare come un inatteso "tertium datur", come cioè una terza opera aliena che cattura e suggestiona fortemente il visitatore del museo, mediamente meno aduso alle risorse delle nuove muse.