“Gipsoteca”, testo critico di Laura Poletto, 2009, ita

Nel 1994 Andrea Morucchio realizza un lavoro fotografico incentrato sulle opere di Antonio Canova conservate nella Gipsoteca del Museo Canoviano di Possagno. Gli originali  in gesso, la cui superficie è costellata da cilindretti di bronzo, punti di rèpere per la traduzione nel marmo, divengono il soggetto di una reinterpretazione formale ed emotiva dell’opera canoviana.Gli scatti fotografici in bianco e nero intensificano l’effetto fortemente antirealistico dei puntini (A. Corboz, 1979) che si stendono come una rete sulla superfice dei corpi canoviani; strumenti partecipi di quella “invisibile geometria” di armonia di proporzioni e relazioni tra le parti, attraverso cui Canova  realizzava le sue sculture in un processo di sublimazione, di “sublime esecuzione”. L’obiettivo fotografico si concentra sull’accentuazione dei valori formali, espressivi e plastici delle opere, con  l’intenzione di  intensificare lo sguardo sulla scoperta o riscoperta di una trazione muscolare, di un gesto, di un sentimento, del passaggio di un pensiero su un volto. Così per i lottatori Creugante e Damosseno e il Cristo della Pietà, le cui volumetrie vengono estrapolate ed isolate, quasi introdotte ad un processo astrattivo.      

I primi piani, la ripresa di particolari, la successione di diverse inquadrature di un medesimo soggetto sembrano poter accentuare l’intensità psicologica delle opere ma anche le relazioni formali, le curve e controcurve dei profili, i pieni e i vuoti e, come in una sorta di visione rallenta, si attualizza, nella succesione delle riprese basate sempre su di un progressivo scarto tra inquadratura  e inquadratura, lo stato della dolcezza, della disperazione, del dolore, come nella serie fotografica de La Pietà, delle Tre Grazie, del “piccolo gruppo platonico” - Canova - di Amore e Psiche stanti dove l’obiettivo si concentra nel  centro espressivo, emotivo e dinamico della composizione, in quel gioco squisitamente fragile delle mani che accarezzano e proteggono una farfalla. (P. Mariuz, 2002). 

Si tratta spesso di sequenze, quasi di fotogrammi di un’azione in corso, che riescono a interpretare sensibilmente la “mobilità” e la sensualità dell’opera canoviana, scultura attorno cui girare, sempre diversa a seconda dei punti di vista, multifocale. Ma il  lavoro di Morucchio instaura e accentua anche inedite relazioni tra le opere attraverso studiati dosaggi di luci ed ombre, scansioni di primi e secondi piani, inquadrature impostate secondo significanti e calibrate prospettive, spesso usando una tecnica di ripresa di still life, mentre l’emozione di un muto e prezioso dialogo – quasi metafisico - si condensa  nelle fotografie realizzate in una delle sezioni dell’area di Carlo Scarpa dove la luce ipetrale scende dai lucernari angolari lambendo e scivolando sulle figure, sulla Ninfa dormiente, la Naiade, il Monumento a George Washington, l’Autoritratto.