“Per Vigilare sulla Peste del Presente”, testo critico di Maria Livia Brunelli, 2007, ita

Una luce soffusa, bianca, avvolgente penetra dalla interminabile paratassi di finestre. Ieratici, evocativi, fiammeggianti, una serie di elmi opalescenti ci proiettano in un’atmosfera gotica. La sensazione che prova lo spettatore davanti all’installazione di A.M. è un ricongiungimento con una sacralità perduta. Una sacralità dal sapore medioevale, che sa di valori arcaici, di fedeltà dimenticate, di convinzioni corali. La musica prepotente penetra nelle orecchie e le assorda, creando uno spazio ovattato, atemporale, di sospensione perenne.

Dopo il tuffo sonoro e visivo che ci ha confuso le coordinate temporali, impressionati vaghiamo, indaghiamo, esploriamo il nuovo mondo per scoprire gli strani oggetti cha delineano un universo esotico. E proprio quando ci stiamo convincendo di essere in una dimensione diversa, ecco che i punti cardinali si rivelano essere sempre gli stessi, perchè l’uomo medioevale risulta evoluzionisticamente identico all’uomo moderno. Noi siamo, come eravamo, sempre delimitati dagli stessi riferimenti. La musica aulica, glorificante, non è altro che un diverso schermo, non catodico ma ugualmente potente, da cui il potere ci guarda e ci guida.

L’elmo, raro, unico, prezioso, superbo frutto dell’ingegno e della creatività umana, non è dissimile, indossato, dalle moderne “corazze su ruote” che evidenziano con la loro potenza\esclusività\costosità lo status symbol del proprietario. Da qui a vedere nel lupo inciso sulla lama di Passau il prodromo del marchio\logo\firma il passo è brevissimo, ma in un attimo ci accorgiamo che c’è dell’altro...Vediamo che l’uomo che ha firmato la sua opera era conscio della propria abilità e del proprio valore. Non più uno dei fabbricatori, ma un uomo pienamente consapevole della sua individualità, quindi un primo portatore di quell’umanesimo che ora ci permette di vedere l’arte di un uomo come ingegno.

Abbandonando, ma non troppo, la vertigine del trascendente e dell’ineffabile che ancora ci guarda indulgente dall’onnipresente monogramma di san Bernardino, che ci sormonta effigiato nel monumentale camino di questo immenso salone. Un monogramma che ora si rivela nella sua drammatica attualità, magicamente funzionale al messaggio occulto dell’installazione dell’artista. Lo scolpirono infatti i fedeli che hanno eretto questo luogo, come baluardo difensivo per la peste. Una peste, suggerisce nell’orecchio ai fedeli dell’anno Duemila A.M., che sempre ci aspetta in qualunque tempo noi ci nascondiamo travestita da veleno demagogico.